La consapevolezza del bisogno di ritualità funebre
L’emergenza pandemica ha evidenziato l’esigenza della ritualità di commiato, laica o religiosa, che nel settore funebre e cimiteriale era prevalentemente oggetto di trattazione teorica in fiere di settore e convegni, ma scarsamente tradotta in pratica.
articolo di Fabrizio Gombia tratto da SOCREM News ed. maggio 2021
Sono poche eccezioni i cimiteri o i crematori che propongono alle famiglie un’accoglienza rituale del funerale mentre solo da poco tempo alcune imprese di onoranze funebri sembrano aver compreso questa esigenza ed iniziato a predisporre riti di commiato in ambienti appositamente predisposti. Di fatto, in Italia continua a prevalere un atteggiamento “neutro”, con i gestori dei crematori che mettono a disposizione una sala, spesso spoglia e poco attrezzata, lasciando alla famiglia l’onere dell’organizzazione di una cerimonia, così che il momento del distacco al cimitero, in particolare nel crematorio, rimane prevalentemente non governato sul piano rituale.
Con l’emergenza epidemiologica però qualcosa è cambiato. Convenzionalmente, almeno per quanto riguarda gli aspetti della ritualità funebre, si può dire che questa sia iniziata l’8 marzo, quando il D.P.C.M. ha stabilito la sospensione dei riti funebri, sia civili che religiosi, con la conseguenza che i funerali fossero limitati a semplici trasporti funebri, dal luogo di decesso al luogo di sepoltura o cremazione. Questo provvedimento, unitamente ad altri contenuti nel D.P.C.M., ha inciso sulla presenza dei famigliari a seguito del feretro, consentendo ad un numero esiguo di questi, spesso al massimo due persone, di presenziare, senza la possibilità di accedere alle sale del commiato, nel caso dei cimiteri, dei crematori e delle case funerarie, ed ai luoghi di culto in genere. Per comprendere la valenza storica di questa decisione, vi invito a riflettere su quando un fatto di tale portata, la proibizione cioè di celebrare i funerali con una cerimonia, esteso a tutta la popolazione, prima di marzo 2020 sia avvenuto. Si tratta evidentemente di un fatto senza precedenti. Sicuramente si è trattato di una scelta dettata da imprescindibili motivazioni di salvaguardia della salute pubblica e quindi di grande responsabilità, ma ha rappresentato anche un ulteriore momento traumatico per coloro che l’hanno subita, con conseguenze difficili da valutare. Innegabile che una delle misure più efficaci nel contenimento della diffusione del virus sia stata il distanziamento sociale, elemento in antitesi con qualsiasi azione propria dell’elaborazione del lutto. L’obbligo del “distanziamento” ha infatti contribuito al contenimento della malattia ma ha colpito al cuore proprio la tradizione comunitaria della ritualità funebre. Di fatto la pandemia ha impedito la possibilità di una elaborazione del lutto, che necessita della condivisione e della ritualità, fosse anche un silenzio ma che non sia imposto dall’assenza. La morte di una persona rappresenta una lacerazione del tessuto sociale che i rituali funebri aiutano a ricucire.
La pandemia ha uniformato tutti i defunti in un’unica ritualità, quella determinata dalla solitudine, di chi muore e di chi per quella morte prova dolore. Molte persone sono morte sole, in alcuni casi consapevoli dell’avvicinarsi della fine della loro vita, senza la consolazione dello sguardo di un figlio, del sorriso di un nipote, della mano stretta in quella del proprio compagno di vita. Senza essere salutate: un incubo nell’immaginario diventato una esperienza di molti. Si è avvertito un senso di inquietudine, la sensazione di vivere in un tempo sospeso, in una atmosfera resa pesante dallo stravolgimento delle nostre abitudini più consolidate. Questo senso di inquietudine è diventato tangibile e molte istituzioni, comuni, ospedali, oltre ad alcuni gestori di servizi del settore, come la SOCREM Torino, hanno provato ad intercettarlo, proprio perché espresso con forza da una comunità smarrita. Questa inquietudine è stata colta e mediata anche da molte trasmissioni televisive, da articoli sui principali quotidiani ed espressa a volte nelle forme consentite e limitate dei social network. Sono nate così varie iniziative e progetti per poter avviare finalmente un percorso operativo in grado di arrivare alla predisposizione di una accoglienza rituale dei funerali in varie città italiane. Proprio recentemente una importante società di formazione del settore ha previsto, dopo anni di assenza dai temi proposti nei propri corsi, un corso in videoconferenza sulla accoglienza rituale nei cimiteri e crematori. A seguito di una sollecitazione di alcuni gestori che hanno richiesto questo come argomento di interesse formativo per i propri dipendenti. Troppo presto per affermare con certezza un cambiamento della percezione ed una nuova sensibilità del settore. Quantomeno da parte dei gestori di cimiteri e crematori. Ma certamente appare indiscutibile che le famiglie italiane, nel momento di un lutto così complesso e particolare, hanno mostrato una esigenza che non può essere trascurata. A riprova di questo l’incremento confermato da molte delle imprese di onoranze funebri che hanno una casa funeraria, delle cerimonie di commiato richieste presso le strutture private da loro gestite. Intercettare questa esigenza rappresenta un segnale della consapevolezza di quanto sia stata profonda la sofferenza, di amici e familiari, nel dover dire addio ai propri cari senza poterli accompagnare con un ultimo saluto dignitoso.
Il rito di commiato è un momento importante che conferisce significato e valore al saluto finale, accompagna i dolenti in uno dei più faticosi momenti della loro vita e sostiene nel processo di elaborazione del lutto. Nella nostra esperienza diretta, nelle commemorazioni fatte ad ottobre del 2020 dei defunti deceduti durante il periodo della sospensione della ritualità funebre, ha colpito come il vuoto lasciato dall’assenza di un momento di commiato fosse così evidente, così sofferto, manifestato in modo esplicito, spesso senza il pudore che frequentemente accompagna il dolore, dalle molte delle persone che hanno partecipato a questi momenti di commemorazione collettiva. Una delle frasi ricorrenti usate dai partecipanti è stata quella di sentire “…di aver chiuso finalmente il cerchio”, come se “…quella morte fosse rimasta in qualche modo sospesa”. L’impressione è che, proprio nel momento in cui siamo stati privati della ritualità funebre, ci si sia finalmente accorti della sua imprescindibilità, come se fosse necessario proibirne la possibilità per comprenderne davvero il significato e il valore.