Le scelte di fine vita: il quadro giuridico

Intervista a Vladimiro Zagrebelsky
Direttore Laboratorio Diritti Fondamentali Collegio Carlo Alberto Torino


di Ana Cristina Vargas

Professor Zagrebelsky quali sono i principali cambiamenti normativi verificatisi nel panorama italiano
intorno alle scelte
di fine vita ?

Nel corso degli ultimi anni si è assistito a evoluzioni realizzatesi in corrispondenza a mutamenti di sensibilità nell’opinione pubblica e a sviluppi della scienza medica che hanno portato a prolungare tecnologicamente la vita anche in forme non più accettabili e umane. È principio costituzionale ben consolidato che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (art. 32 Cost.). In parallelo con una successione di riforme del Codice deontologico dei medici, la legge n. 219 del 2017 ha disciplinato la materia. Confermando quanto era già acquisito ad opera della giurisprudenza, è stata disciplinata la questione delle scelte dilazionate nel tempo, per il momento in cui il soggetto dovesse venire a trovarsi non più in condizioni di esprimere la sua volontà e quindi eventualmente rifiutare le cure, anche a costo di lasciar intervenire la morte. Si tratta delle due ipotesi considerate dal legislatore:
a) le disposizioni anticipate di trattamento, con cui il paziente maggiorenne e capace di intendere e
di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può esprimere le
proprie scelte, il proprio consenso o il proprio rifiuto di trattamenti sanitari e indicare un fiduciario
che lo rappresenti nei rapporti con il medico e con le strutture sanitarie;
b) la pianificazione condivisa delle cure che riguarda il caso di una patologia cronica e invalidante,
evolutiva e con prognosi infausta: si prevede la possibilità di stabilire una pianificazione vincolante
d’intesa tra medico, paziente e équipe sanitaria.
Si tratta di nuovi istituti, di particolare importanza per la tutela e la promozione della autonomia decisionale della persona. Con essi viene rimossa la condizione della attualità (talora impossibile) della manifestazione di volontà da parte del soggetto.

Le DAT e la Pianificazioni Condivisa delle cure permettono quindi di esprimere la propria volontà
in forma anticipata, nell’eventualità di essere impossibilitati a compiere delle scelte, come avviene
nel caso di perdita irreversibile e definitiva della coscienza. Nel campo della morte e del morire
c’è molta confusione terminologica. Quali sono le differenze fra suicidio medicalmente
assistito, eutanasia e omicidio del consenziente?

Sulla scia dell’uso fattone dai gruppi estremisti contrari ad ogni forma di autodeterminazione nella disponibilità della propria vita, è divenuto di uso comune il termine ‘eutanasia’ per riferirsi alle due specifiche ipotesi che la legge chiama ‘omicidio del consenziente’ e ‘aiuto al suicidio’.
Il primo è previsto (e punito) dall’art. 579 c.p. e il secondo dall’art. 580 c.p. Il termine ‘eutanasia’ è
equivoco e lontano dalla precisione del linguaggio legislativo. Il termine, senza fondamento, suggerisce
similitudine o addirittura assimilazione alle politiche eugenetiche della Germania nazista.
Il suicidio assistito si differenza dall’omicidio del consenziente perché richiede che l’atto finale e letale
sia compiuto dalla persona che intende uccidersi. Nell’omicidio del consenziente invece quell’atto è
compiuto da un terzo. La Corte costituzionale ha giustamente definito “finitime” le due ipotesi, poiché i valori e i problemi in campo sono i medesimi.

Quale ruolo hanno avuto la Convenzione Europea e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo?

Nella stessa linea delle Corte costituzionali tedesca e austriaca, la Corte europea dei diritti umani ha
affermato che il diritto al rispetto della vita privata (art. 8 Convenzione) ricomprende il diritto alla autodeterminazione in ordine a come e quando por fine alla propria vita.
La Corte ha assegnato agli Stati il ruolo di garanti della qualità della volontà di morire. Essi devono
stabilire misure atte ad assicurarla e a proteggere i soggetti vulnerabili.

Possiamo quindi dire che gli Stati devono sia garantire il diritto all’autodeterminazione,
sia tutelare chi è in condizioni di vulnerabilità. Quale è stato il ruolo della Corte Costituzionale
nell’abrogazione del cosiddetto referendum sull’eutanasia, più precisamente denominato
“Abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale (omicidio del consenziente)”?

La Corte costituzionale, con riferimento all’aiuto al suicidio, ha considerato un’area di casi in cui sarebbe
incostituzionale e quindi non possibile punire chi aiuti il suicidio di una persona. La non punibilità è
esclusivamente ammessa quando si tratti di persona
a) affetta da patologia irreversibile;
b) fonte di sofferenza fisiche o psicologiche che la persona trova assolutamente intollerabili;
c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale;
d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
In queste condizioni, la Corte ha ritenuto che un aiuto prestato dal medico nell’ambito del SSN non
possa essere punibile ai sensi dell’art. 580 c.p. Il referendum parzialmente abrogativo dell’omicidio
del consenziente (art. 579 c.p.) è stato dichiarato inammissibile.
La Corte costituzionale ha ritenuto che l’esito positivo del voto avrebbe comportato la assoluta carenza
di protezione della vita. Lo strumento del referendum non avrebbe consentito che fossero osservati i
limiti posti dalla stessa Corte per il caso dell’aiuto del suicidio. Si può osservare che la Corte costituzionale italiana non ha adottato l’orientamento delle Corte tedesca e austriaca, che hanno dato rilievo determinante al diritto alla autodeterminazione nel disporre della propria vita, insistendo invece sulla necessità di misure atte a garantire la libertà e la consapevolezza della decisione di morire.

Quale è stato finora il ruolo del Parlamento?

Il Parlamento, sollecitato dalla Corte costituzionale, si è finora sottratto al dovere di disciplinare la materia. In tal modo ha spinto la Corte costituzionale a provvedere essa stessa in via di emergenza, con i suoi insufficienti strumenti e in funzione di supplenza.

In questo quadro generale, ci sono delle riflessioni che vorrebbe aggiungere a modo di conclusione?

Credo utile riportare – credo io, come esemplare – quanto ha scritto la Corte costituzionale tedesca: “Il
rispetto del diritto all’autodeterminazione implica la possibilità di controllare la propria vita nel modo
scelto e di non essere costretti a forme di vita non conciliabili con la propria concezione di sé e della
propria identità personale. In tale quadro assume significato fondamentale la decisione di terminare
la propria vita, frutto di convincimenti altamente personali.
La morte autonomamente decisa dalla persona, conseguentemente, non riguarda soltanto quella
che deriva dal rifiuto di trattamenti di sostegno vitale, ma anche il caso in cui l’individuo decide di attivamente metter termine alla propria vita. E l’autonomia della persona non è limitata a situazioni come quella di malattia incurabile, né si applica solo a certi stadi della vita o di una malattia”.
Secondo il Tribunale costituzionale tedesco, porre simili limiti al riconoscimento della autonomia individuale – come ha invece fatto la Corte costituzionale italiana e si appresta a fare il legislatore – significherebbe restringere e predeterminare le motivazioni della persona. Ciò è però incompatibile con la nozione costituzionale di libertà. “La decisione della persona non può essere valutata secondo valori di carattere generale, dogmi religiosi, norme sociali. La persona non deve quindi esser chiamata a dare spiegazioni”.

 

Articolo pubblicato su SOCREM News n. 2/2022